di Augusto Preta
C’è un fantasma che si aggira per l’Europa e il suo nome è IPTV. A ben guardare, non è tanto il servizio come tale a destare preoccupazioni o incertezze, quanto l’idea che ormai da un lustro le telcos tentano di affermare di una terza (o quarta) gamba – il video -, destinata ad aggiustare bilanci, a rilanciare servizi e a garantire profitti messi in crisi dalla concorrenza del mercato liberalizzato e dalla perdita di redditività dei servizi tradizionali.
Così, mentre in realtà il video finalmente decolla sulle reti IP, favorito dalla diffusione generalizzata della larga banda, fornendo prospettive allettanti per chi le reti le costruisce e per chi vi diffonde i contenuti, sono proprio loro, i triple (e quadruple) player, i grandi fautori della convergenza tecnologica a mostrare ritardi, contraddizioni e incapacità di gestire il business, non riuscendo ad afferrare la cornucopia a lungo attesa.
L’equivoco è ulteriormente accresciuto dalle cifre sventolate a ogni piè sospinto da società di ricerca fin troppo accondiscendenti nei confronti dei loro clienti-finanziatori.
Ma procediamo con ordine, cercando di fare un po’ di chiarezza nel mare magno di un mondo molto complesso e spesso confuso.
Innanzitutto, cosa intendiamo per IPTV? Quella che oggi convenzionalmente chiamiamo TV su protocollo IP, ovvero, usando più semplicemente il suo acronimo, IPTV, è la distribuzione video su una rete broadband gestita da un operatore e destinata a un utente televisivo via set-top-box. Ciò la distingue dunque da quella che chiamiamo broadband TV o web TV, dove il video viene scaricato (downloaded) o distribuito online in modalità streaming, senza alcuna necessità di un apparato di ricezione munito di accesso condizionato, il set top-box appunto.
Così, mentre in realtà il video finalmente decolla sulle reti IP, favorito dalla diffusione generalizzata della larga banda, fornendo prospettive allettanti per chi le reti le costruisce e per chi vi diffonde i contenuti, sono proprio loro, i triple (e quadruple) player, i grandi fautori della convergenza tecnologica a mostrare ritardi, contraddizioni e incapacità di gestire il business, non riuscendo ad afferrare la cornucopia a lungo attesa.
L’equivoco è ulteriormente accresciuto dalle cifre sventolate a ogni piè sospinto da società di ricerca fin troppo accondiscendenti nei confronti dei loro clienti-finanziatori.
Ma procediamo con ordine, cercando di fare un po’ di chiarezza nel mare magno di un mondo molto complesso e spesso confuso.
Innanzitutto, cosa intendiamo per IPTV? Quella che oggi convenzionalmente chiamiamo TV su protocollo IP, ovvero, usando più semplicemente il suo acronimo, IPTV, è la distribuzione video su una rete broadband gestita da un operatore e destinata a un utente televisivo via set-top-box. Ciò la distingue dunque da quella che chiamiamo broadband TV o web TV, dove il video viene scaricato (downloaded) o distribuito online in modalità streaming, senza alcuna necessità di un apparato di ricezione munito di accesso condizionato, il set top-box appunto.
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Beltel, Gennaio 2008